Negli ultimi anni, nel campo della sicurezza antincendio ha iniziato a diffondersi, a fianco dell’ormai ben noto approccio prescrittivo, il nuovo approccio prestazionale, conosciuto con il termine internazionale di Performance Based Design. Prima dell’avvento di tale nuova metodologia, i professionisti antincendio, con il supporto del legislatore, vedevano la lunghezza delle vie di esodo come l’unica misura su cui intervenire per garantire la salvaguardia della vita umana. Infatti si è sempre dato per certo l’inizio dell’evacuazione nel momento in cui scatta l’allarme. Ma è veramente quello che accade nella realtà? Basti immaginare di trovarsi in una situazione in cui scatta un allarme antincendio e la risposta risulti immediata. Infatti, diversi studi hanno messo in risalto come, una volta sentito l’allarme, gli individui occupano il tempo in attività diverse da quella dell’evacuazione, tutte azioni che possono anche coprire due terzi del tempo che si impiega per uscire dall’edificio. L’espressione inglese “milling” (girovagare come un mulino) indica proprio l’interazione sociale nelle prime fasi di allarme: gli individui verificano e cercano una conferma con le altre persone circa la veridicità e gravità del messaggio o dell’avvertimento che hanno ricevuto, oppure cercano di andare a recuperare beni personali o di riunire tutti gli individui presenti con cui hanno un legame affettivo. Tali attività possono essere misurate in decine di minuti. Questo intervallo di tempo che intercorre tra l’allarme e l’inizio dell’evacuazione prende il nome di pre-movement time, che è solo uno degli elementi che vanno a costituire quello che in ambito di Fire Safety Engineering viene chiamato Required Safe Escape Time (RSET). In conclusione è lecito chiedersi: si può reputare garantita la sicurezza delle persone che devono percorrere una via di esodo lunga 30 m, anche se prima di iniziare ad evacuare possono passare addirittura 30 minuti?
Dott.ssa Monica Capobelli, Guidi & Partners